Luca Giuliano
Realtà virtuale e letteratura
interattiva
[Estratto da: L. Giuliano - I padroni della menzogna. Il gioco
delle identità e dei mondi virtuali. Meltemi ed., Roma, 1997; pp.
114-117.]
Molti pensano che la realtà virtuale
sia quella in cui una persona si mette un casco o un guanto e interagisce
con un ambiente la cui immagine è generata dal computer. Il MU*
fa molto più di questo: genera uno spazio condiviso in cui l'immaginazione
di ciascun giocatore può operare collettivamente. Questa realtà
virtuale non esiste nello stesso modo della vita reale, ma ha egualmente
una sua forma di esistenza perché ha delle conseguenze sulla vita
di coloro che interagiscono nel MU* attraverso i personaggi.
Quando un giocatore che controlla un personaggio in un MU* è
così coinvolto da concentrarsi solo sulla realtà virtuale,
lui e il suo personaggio diventano la stessa cosa e fino a quando questa
"identificazione" rimane in atto ciò che accade al personaggio è
come se accadesse alla persona stessa. In questa veste egli può
compiere azioni ed imprese che non potrebbe compiere nel mondo reale. Ovviamente
non tutti i giocatori che hanno accesso al MU* giungono ad avere una forma
così estrema di coinvolgimento. La maggior parte di essi si limita
a chiacchierare, come in una chat line.
Il gioco di ruolo esercita la sua attrazione proprio perché permette
al giocatore di assumere un'altra identità. Può essere se
stesso se lo desidera, oppure può rimanere nell'anonimato. L'anonimato
permette al giocatore di interpretare ruoli completamente diversi, senza
temere alcuna conseguenza dai suoi comportamenti virtuali.
Per sintetizzare possiamo dire i MU* esercitano sui giocatori un fascino
particolare perché uniscono la comunicazione delle chat lines con
il gioco, facendo presa sull'emozione suscitata dal sentirsi proiettati
in un mondo in cui le cose che accadono al personaggio è come se
accadessero direttamente al giocatore che lo interpreta. Quando il personaggio
e il giocatore coincidono, come accade in molti MU*, la realtà virtuale
del gioco diventa, sebbene temporaneamente, la realtà del giocatore
stesso. E' questa sensazione che le cose accadono realmente a rendere il
MU* un'esperienza affascinante. E' sicuramente divertente immaginare di
essere in comunicazione contemporaneamente con diverse persone che si trovano
a centinaia o migliaia di chilometri di distanza; come pure il fatto di
giocare tramite il computer con altre persone anziché con una macchina.
Però quello che davvero distingue il MU* è il fatto di avere
un'esistenza in un altro mondo. Come se fosse possibile entrare nella pagina
di un libro o nell'inquadratura di un film e incontrare personaggi che
sono dotati di vita propria.
Il MU* ha una forma espressiva affine alla letteratura anche perché
il risultato delle interazioni sociali è sempre costituito da testi
e dialoghi scritti, in alcuni casi strettamente imparentati con la narrazione.
Nei MU* direttamente collegati alla fiction i giocatori sembrano tanti
scrittori che collaborano insieme ad un unico testo che ha infinite variazioni
e diramazioni, come aveva già prefigurato nei suoi studi Jacques
Derrida alla fine degli anni '60 (Derrida 1967),
e in stretta analogia con gli sviluppi delle tecniche di scrittura ipertestuale.
Come in un grande gioco di ruolo, apparentemente privo di coordinatore,
il MU* sancisce la fine della separazione tra autore e lettore, così
come, d'altra parte, il gioco di ruolo, e in particolare il live, ha rappresentato
la fine della separazione tra attore e pubblico.
La fine di questa separazione non consiste soltanto nella possibilità
offerta al lettore di modificare il corso della storia che egli sta leggendo,
quanto piuttosto di contribuire creativamente alla costruzione della realtà
alternativa in cui la storia si sviluppa.
Di solito quando si pensa alle anticipazioni della letteratura interattiva
si ricorda il famoso racconto di Jorge Luis Borges: "Il giardino dei sentieri
che si biforcano", del 1941. Tuttavia il vero anticipatore della letteratura
interattiva è J.R.R. Tolkien, il costruttore di sistemi narrativi
in cui è doveroso credere perché ciò che viene costruito
non è il mondo di per sé ma le regole che lo governano. Tolkien
non si limita a scrivere L'Hobbit (1934) o Il Signore degli Anelli
(1954-55) ma costruisce un modello e un
sistema di credenze cui il lettore viene invitato ad aderire. C'è
qualcosa di più della "volontaria sospensione di incredulità" che
consente al lettore di interpretare un testo e di stare al gioco
facendosi guidare convenzionalmente dall'autore. Con Tolkien,
l'autore diventa un "secondo creatore" che costruisce un linguaggio
esattamente come quello della fisica e della matematica; attraverso
questo linguaggio disegna dei modelli che sono veri fino a quando
possiamo credere nel linguaggio che ci ha permesso di
costruirli. I linguaggi
della scienza e le strutture cognitive sono sottoposti al vincolo dell'adattamento
al mondo delle nostre esperienze, alla loro capacità di sopravvivere
e di rivelarsi adeguati allo scopo. I linguaggi dell'immaginazione sono
invece sottoposti al piacere di credere, al nostro desiderio di entrare
in una realtà alternativa.
Tolkien non racconta soltanto una storia ma costruisce il mondo, i
personaggi, i linguaggi, le storie che l'hanno generata. In questo modo
egli compie un'operazione di "virtualizzazione della narrazione" che permette
al lettore di entrare nella storia, di fornire le proprie risposte e, sebbene
solo potenzialmente, di compiere le proprie scelte. La sua non è
una operazione di sospensione di incredulità ma una operazione di
costruzione di una "credenza secondaria" (Tolkien 1947).
In questa operazione positiva e creativa, compiuta in maniera deliberata
e consapevole per la prima volta da Tolkien, c'è il gioco di ruolo,
il MU* e tutti i mondi virtuali che la nostra immaginazione potrà
mai concepire.
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I MU* sono programmi di comunicazione multi-utente
(MUD, MOO, MUSH, ecc.). L'asterisco rappresenta la wild card del sistema operativo
UNIX.
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J. Derrida, De la grammatologie, Minuit, Paris,
1967 (tr. it. Della Grammatologia, Jaca Book, Milano,
1969).
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J.R.R. Tolkien, On Fairy-Stories, Oxford University
Press, Oxford, 1947 (tr. it. "Sulle fiabe", in Albero e foglia,
Rusconi, Milano, 1976).
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