ROMA - I vampiri, certo, sono fra noi: a dir poco da quella
notte di giugno del 1816 quando, per graziosa scommessa di un gruppo di intellettuali, nacquero il Frankenstein
di Mary Wollstonecraft e The Vampyre
di John Polidori. Da
allora, hanno generosamente nutrito letteratura, cinema,
fumetti e quel che suole chiamarsi il mondo dell´immaginario,
con punte di massimo interesse e disattenzioni solo momentanee. L´annata in
corso si annuncia votata ai figli delle tenebre: con l´arrivo di due film dall´intenso battage, Underworld
e il kolossal Van Helsing,
in uscita a maggio. E poi musical off e on Broadway, libri per appassionati, snob, bambini.
Paolo Fabbri, che insegna semiotica alla Facoltà di Arti
e Design dello IUAV di Venezia, ricorda che, se un mito cammina ancora fra
noi, qualcosa lo sta riattivando: «per esempio: la prima trasfusione di
sangue da uomo a uomo fu quasi contemporanea al racconto di Polidori. E oggi che la scienza
ci dice che abbiamo i mezzi per non morire, il fascino dei vampiri è quello
della nostra potenziale non morte».
La nostra, però, è anche un´epoca che ha preso ampia
confidenza con il concetto di interazione, e che ama vivere dentro le storie
più che sentirsele raccontare. Avviene così che cinema e libri siano oggi
debitori ad un gioco di ruolo, il più frequentato in Italia e, nel mondo,
secondo solo al capostipite Dungeons&Dragons:
si chiama Vampires, The Masquerade,
viene ideato all´inizio
degli anni Novanta, arriva in Italia quasi subito e poco prima della
traduzione di Intervista col vampiro di Anne Rice, si diffonde a macchia d´olio, genera romanzi,
giochi di carte, due videogames (Redemption e Bloodlines), un
merchandising, una serie tv. Cosa c´è dietro il caso
ludico dell´ultimo decennio? Nulla
dell´archeologia dei paletti di frassino e delle
teste d´aglio, peraltro già spazzata via proprio da Anne
Rice in favore dei tormenti e della noia dell´interminabile esistenza vampirica.
È altro ad affascinare i diecimila giocatori italiani: «C´è almeno un gruppo
attivo in ogni città», dice Vincenzo Bruni, gestore
di DragonStore, uno dei più giovani ritrovi romani.
E ogni gruppo racconta una storia che si svolge
parallelamente alla vita reale.
Perché questo è un gioco dove gothic e horror sono lo sfondo, il sottinteso, la condizione. Il mondo dei
vampiri è organizzato in due grandi sette, Camarilla e Sabbat,
antagoniste come Atene e Sparta: sofisticata,
politica, adusa a sotterfugi e complotti la prima, più feroce, guerresca e
gran spregiatrice di ogni rapporto con gli umani, la seconda. Le lotte
millenarie fra i due schieramenti, fra i clan che le compongono e quelli che
ne restano fuori, hanno influenzato la storia degli uomini (di nascosto:
perché la regola numero uno, la Masquerade, è non
rivelarsi ai mortali). Nessun vampiro, però, può essere certo di non essere
manovrato da un vampiro più potente, su fino ai temibili Antidiluviani: e si
comporta di conseguenza. A farla breve, è un gioco
politico, dove si tessono alleanze e si eliminano avversari. Scherza
Elio Di Giovanni, dirigente di un´azienda metalmeccanica fiorentina e master di antica data: «Non
ci sarebbe nulla di strano ad immaginare un clan romano che si insinua in un partito politico, o a tessere paralleli
fra alcuni vampiri e la massoneria». Giocano avvocati, sociologi, studenti e
casalinghe. Nella notte di mercoledì uno degli appuntamenti mensili della
capitale ospitava un´animata riunione del Sabbat: due i master, Thomas Crielesi che fa il promotore finanziario e Mirko Anconitani che studia psicologia. Chi scrive, nelle
spoglie di un vampiro Malkavian, ha assistito ad
una sorta di verifica governativa finita in sollevazione contro l´arcivescovo
Elton Rodriguez, il cui
discorso è stato considerato troppo vicino alle sottigliezze politiche della
nemica Camarilla. Il segreto, dice ancora Elio Di Giovanni, è qui: «I vampiri
sono molto simili a noi: interpretandoli, puoi approfondire la psicologia e
le debolezze degli uomini trasportandole su un piano che umano non è». E per il gioco vale
l´incantesimo che ha accompagnato tutti i capolavori letterari, sempre
quello: «de te fabula narratur».
|