Lorenzo Trenti
Esiste una letteratura che non sia interattiva?[ Tangram.
Rivista di cultura ludica, Anno II, n. 5 (settembre 2003), pp.
67-71.
"Letteratura interattiva" è il
termine – un po' pretenzioso, ma nella sostanza giusto – che
abbiamo scelto per indicare tutta una serie di attività creative di
per sé abbastanza difficili da definire: vi rientrano i giochi di
ruolo tradizionali, i giochi di narrazione per posta elettronica, i
giochi di ruolo dal vivo (che qualcuno definisce, non a torto,
"teatro interattivo"), i libri e racconti gioco, i giochi
di narrazione condivisa, le sperimentazioni che mescolano elementi
tratti da tutte queste realtà e molte altre cose ancora. In
generale, se il risultato finale coniuga gli aspetti del gioco e
quelli della narrazione, si può essere ragionevolmente certi di
essere in presenza di letteratura interattiva. Ma in realtà la
definizione vuole costituire un terreno di lancio per modi nuovi di
intendere un mezzo proteiforme e ancora tutto da esplorare; si
tratta insomma di un insieme dai contorni molto aperti e sfumati,
che non vuole certo rappresentare un vincolo o un ostacolo, bensì
uno stimolo per chi vuole scoprire sfaccettature inedite della
letteratura interattiva.
Riflettendo sul senso della definizione che
abbiamo deciso di adottare, però, balza all'occhio il rapporto
particolare che lega i due termini in essa contenuti. Vediamo
innanzitutto "letteratura": in senso stretto indica un
corpo omogeneo di opere scritte, ma dovremmo probabilmente includere
in questo vasto mare anche qualsiasi forma di narrazione orale; in
generale quindi qualsiasi produzione in cui si presenti la
trasmissione di una storia, in forme più o meno mediate, può
essere considerata letteratura, o – per usare un termine più
ampio – narrazione. Quanto a "interattiva", implica la
presenza di azioni tra più soggetti. La domanda da porsi, e che dà
il titolo a questo articolo, è allora: esiste una letteratura che
non sia interattiva? In altre parole, non sarà che la nozione di
interattività sia già compresa in partenza nella letteratura in sé
e per sé?
La narrazione
infatti non è costituita semplicemente da un flusso di dati che da
un narratore A giungono a un fruitore B; non è una mera ostensione
di fatti, un elenco puntato – ancorché ornato con stile – dove
vengono esposti in sequenza alcuni fatti. La fruizione di una storia
è più simile alla passeggiata in un bosco: come nota Eco nel suo Sei
passeggiate nei boschi narrativi, il lettore si ritrova
all'interno di un bosco e per proseguire nella storia deve
inoltrarsi attivamente all'interno di essa. Il sentiero che da
percorrere è evidentemente uno solo – l'interattività non è
dunque quella del "racconto a bivi" dove il protagonista
decide quale andamento far prendere alla vicenda – ma gli sono
concesse varie opzioni: può correre a testa bassa verso la fine
della storia, sfogliando le pagine a un ritmo molto veloce; oppure
può indugiare piacevolmente nel bosco, ammirando il panorama e,
fuori di metafora, gustando il dettaglio delle descrizioni, le
scelte lessicali, i piccoli particolari inseriti nel libro. Poiché
ogni lettore è una persona diversa in una situazione diversa, ogni
lettura – così come ogni passeggiata all'interno di uno stesso
bosco – sarà quindi differente; ma questo è solo l'inizio. Perché
chi passeggia in un bosco non decide solo il livello di dettaglio a
cui vivere l'esperienza, ma durante il cammino precorre il sentiero
e fa galoppare l'immaginazione, domandandosi dove condurrà il
sentiero, cosa vi sia oltre il fitto del bosco, quando troverà la
prossima fonte d'acqua. Il lettore di fronte a una storia fa lo
stesso, foss'anche solo perché il linguaggio, più che descrivere,
evoca e allude: chi legge ci mette del suo e completa l'opera.
Affermava Joseph
Conrad che un autore scrive solo metà di un libro in quanto
dell'altra metà si deve occupare il lettore. Questo processo
avviene costantemente ma per certe categorie di storie appare più
accentuato; nelle storie di paura, per esempio, l'orrore ha uno
spessore assai più consistente quando più che manifestarsi viene
suggerito, lasciando al lettore il compito di immaginare nella
propria mente cosa stia accadendo. Stefano Benni, nel romanzo Baol,
porta questo processo a livelli parodistici e scrive così.
“Era
talmente mostruoso che la sua mostruosità era indescrivibile:
era alto circa –
con una bocca enorme dentro la quale –
e dalle zanne gli colava una –
mentre i tentacoli mostruosi –
e sul dorso portava –
gli artigli delle sue zampe enormi sembravano –
un muco mucillaginoso gli riempiva –
e la coda simile a –
mentre numerosi aculei –
e la ferocia che gli si leggeva negli occhi era –
e avanzava lanciando un grido paragonabile –
e già si stava accingendo con la orribile proboscide a –
quando...”
E così via. Un
altro sperimentatore, James Ballard, ha realizzato testi che
accentuano questa caratteristica della narrazione portando
chiaramente in evidenza il ruolo del lettore nella creazione della
storia. Si tratta di due racconti presenti nella raccolta Febbre
di guerra. Nel primo, intitolato "Risposte a un
questionario", ciò che è stampato sulla pagina sono le
risposte (e solo le risposte) di un test: scorrendolo, e ricavando
le domande dalle risposte, riusciamo pian piano a ricostruire la
vicenda delittuosa che ha portato il compilatore a uccidere un uomo.
Che la vittima sia stata assassinata non viene mai detto
esplicitamente, ma le risposte costruiscono un quadro sempre più
cupo e teso, finché non incontriamo le risposte "tre
colpi" e "gruppo sanguigno 0": chiaro segno che siamo
in presenza di un fatto di sangue. Il secondo racconto,
"L'indice", è costituito invece dall'ipotetico indice di
una biografia: scorrendo le voci e i rimandi incrociati, sintetici
ma efficaci, emerge – senza che sia mai descritta – la figura di
un individuo assolutamente unico per la storia umana. L'indice poi
può essere consultato nell'ordine preferito dal lettore, magari
cercando l'esistenza di voci particolari, rendendo ancora più
interattivo il processo di fruizione della storia.
Torniamo per un
attimo alla metafora del sentiero nel bosco. Un bravo narratore,
consapevole dell'interazione tra ciò che egli racconta e ciò che
il lettore coglie, saprà anche tracciare il sentiero in modo da
incamminare il lettore verso una certa direzione, farlo indugiare
presso una particolare radura che ritiene importante, metterlo nelle
condizioni di credere dove stia andando. In casi estremi si instaura
una vera e propria sfida tra lettore e narratore: emblematico è il
caso di Agatha Christie, i cui gialli sono un palese invito al
lettore a scovare le "aringhe rosse" (termine tecnico per
indicare i falsi indizi in grado di sviare i cani da fiuto) e
scoprire da sé il colpevole prima dell'investigatore. C'è un
romanzo della Christie dove ciò avviene ancora più marcatamente;
non lo cito per non guastare la sorpresa a chi dovesse ancora
leggerlo, basti sapere che il nome della vittima è presente nel
titolo; ebbene, il romanzo è costituito dal diario scritto giorno
per giorno da un collaboratore dell'investigatore, salvo scoprire
alla fine che il colpevole dell'omicidio è proprio la voce
narrante! In questo caso l'inganno (a fin di bene) perpetrato
dall'autrice è palese, anche se verrà scoperto al termine della
storia.
Esistono decine di
altri romanzi e racconti che mostrano in piena luce processi di
interattività che in realtà avvengono durante la comprensione di
qualsiasi storia. Senza contare, inoltre, tutti i fior di libri
scritti come interpretazione di altre storie, partendo da un testo
"classico" e provando a riempire gli interstizi lasciati
aperti dall'autore: si va dal Il diario segreto di Phileas Fogg
di Philip José Farmer (rilettura in chiave di cospirazione aliena
de Il giro del mondo in 80 giorni) a La sfinge dei ghiacci
di Verne e Alle montagne della follia di Lovecraft (pensati
entrambi come continuazione della storia lasciata in sospeso ne Le
avventure di Arthur Gordon Pym di Edgar Allan Poe), dalle ardite
esegesi collodiane di Pinocchio: un libro parallelo di
Giorgio Manganelli e Contro Maestro Ciliegia del cardinale
Biffi al sospetto letterario di Elia Spallanzani riguardo al vero
colpevole ne La promessa di Dürrenmatt (ben sei scenari
alternativi contenuti in Promesse mantenute). Questi autori
si sono limitati a mettere per iscritto ciò che noi facciamo
regolarmente, nella nostra immaginazione, con le storie più
appassionanti.
Allora, per
ritornare alla domanda iniziale, è ridondante parlare di
"letteratura interattiva"?
Personalmente
ritengo di no. Credo che sia stimolante avere a che fare con realtà
(racconto, gioco, racconto-gioco o chissà cos'altro) che pongano
l'accento sull'interazione rendendolo un elemento palese; che
mettano il lettore, insomma, nella condizione di poter interagire
consapevolmente con il testo. Con la pratica diventeremmo
probabilmente dei lettori più attenti, in grado di leggere e
rileggere una storia secondo molteplici livelli e capaci di
attingere dalla narrazione grazie a un maggior numero di risorse. La
letteratura potrebbe diventare un bel giocattolo da manipolare
quando si è grandi.
E poi, se ha ragione
Conrad, l'esistenza di buoni lettori a fianco dei buoni scrittori
potrebbe migliorare la qualità di una storia fino al 50%. E scusate
se è poco.
BIBLIOGRAFIA
James
Ballard, Febbre di guerra, Milano, Rizzoli, 1993.
Stefano
Benni, Baol. Una tranquilla notte di regime, Milano,
Feltrinelli, 1990.
Giacomo
Biffi, Contro Maestro Ciliegia. Commento teologico a "Le
avventure di Pinocchio", Milano, Mondadori, 1977.
Italo
Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo
millennio, Milano, Garzanti, 1993.
Umberto
Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani,
1994.
Philip
José Farmer, Il diario segreto di Phileas Fogg, Urania 1440,
Milano, Mondadori, 1990.
Howard
Philips Lovecraft, Alle montagne della follia, in Tutti i
Racconti 1931-1936, Milano, Mondadori, 1992.
Giorgio
Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Milano, Adelphi,
1977.
Elia
Spallanzani, Promesse mantenute, Bologna, FEIC, 1978.
Jules
Verne, La sfinge dei ghiacci, Napoli, Guida, 1989.
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